Partiamo in quarta con la descrizione di un fenomeno che riguarda molti, la sottoscritta prima di tutto, anche se nel mio caso non direttamente.
Se siete degli abituali frequentatori della sezione “Libri ed autori” di Yahoo! Answers, ma anche se bazzicate spesso in libreria o se siete comunque dei lettori assidui – e se non siete nessuna delle tre opzioni precedenti, ve lo dico io – probabilmente avrete notato anche voi un curioso fatto: il mondo (l’Italia in modo particolare, sembrerebbe) è pieno di aspiranti scrittori, molti dei quali adolescenti. E quando dico pieno intendo proprio strabocchevole.
Su Answers, domande del tipo:
– “Come si scrive un libro?”;
– “Come si diventa scrittori?”;
– “Come vi sembra il mio stile di scrittura?”;
…fino ad arrivare a oscenità della serie: “Voglio scrivere un romanzo… Mi dite la trama?”, se ne trovano come minimo tre al giorno.
E fin qui non ci sarebbe niente di male, se non fosse per un piccolo particolare: di tutti questi aspiranti scrittori, sì e no un 10% sa effettivamente cosa significhi “scrivere”. La maggioranza, infatti, riempie la sua domanda con un numero talmente alto di svarioni grammaticali e altre robacce inguardabili, arrivando addirittura al bimbominkiese, da chiedersi: “Ma perché deve fare proprio lo scrittore? Non sarebbe meglio mandarlo a lavorare in miniera?”. (Senza offesa per i minatori, ovviamente!)
Detto questo, torniamo all’argomento principale, ovverosia i baby scrittori.
- Un baby scrittore al lavoro.
Prima di tutto, cosa sono, o meglio chi sono questi sconosciuti? Naturalmente “dicesi baby scrittore un adolescente di età compresa tra i 12 e i 18 anni che per i più svariati motivi arriva a pubblicare il suo libro prima ancora di raggiungere la maturità anagrafica (e mentale), con conseguenze spesso disastrose.“
Parto subito con una precisazione: essendo anch’io virtualmente una baby scrittrice, forse non avrei il diritto di scrivere ciò che segue (anche perché tra questi baby, tutti sono più grandi di me almeno di due anni), ma visto che non ho ancora pubblicato nulla e che, prima di comporre questo articolo, ho analizzato l’argomento per mesi, penso di essermi sufficientemente informata da essere sicura di non scrivere una stupidaggine dietro l’altra. Sia chiaro, in ogni caso, che si tratta di opinioni personali: non intendo quindi passare per presuntuosa affermando verità assolute.
Tutto cominciò, or dunque, con l’ormai famoso Christopher Paolini, classe 1983, che alla tenera età di 15 anni, dopo essere cresciuto a furia di libri fantasy, cominciò a scrivere lui stesso un romanzo di questo genere, che chiamò Eragon. Questo libro, pubblicato dai suoi genitori, iniziò a girare per alcune piccole librerie americane, finché nel 2002 non capitò tra le mani di uno scrittore di gialli, Carl Hiaasen, che lo propose alla sua casa editrice. Da questo momento, Eragon divenne un clamoroso caso editoriale, tanto da fare il giro del mondo e vendere oltre 25 milioni di copie.
- Christopher Paolini con il suo ultimo libro, Brisingr.
Dopo Christopher Paolini, furono sempre di più gli adolescenti che, spinti dal suo straordinario successo, iniziarono a loro volta a scrivere un romanzo di genere fantasy: (per ogni autore ho linkato il sito web/blog, la pagina di Wikipedia oppure un’intervista o una pagina di informazioni generali)
– ci fu Anselm Audley, classe ’82, che è arrivato da noi con la trilogia di Aquasilva (Nord);
– ci fu Catherine Webb, classe ’86, autrice quattordicenne di “Il mago dei sogni” (Sperling & Kupfer);
– ci furono Suresh e Jyoti Guptara, classe ‘88, gemelli indiani, che stanno tutt’ora lavorando a una serie di sette libri di cui solo il primo, “I regni di Calaspia: la cospirazione” (Mondadori), è stato tradotto in Italia;
– ci fu la francese Flavia Bujor, sempre di classe ’88, il cui esordio “Le tre pietre” (Sonzogno), scritto a soli 13 anni, divenne in Francia un best-seller;
– ci fu l’inglese Catherine Banner, classe ’89, che a soli 14 anni scrisse “Gli occhi di un re” (Mondadori) ed è stata paragonata addirittura alla Rowling;
– ci fu Cayla Kluver, classe ’92, autrice di “Legacy” (Sperling & Kupfer), che divenne famosa a 14 anni dopo che il suo romanzo d’esordio iniziò a circolare nelle biblioteche degli Stati Uniti.
E questi elencati sono soltanto quelli stranieri, perché passando agli italiani troviamo:
– Licia Troisi, classe ’80, che poco più che ventenne pubblicò il suo primo libro, “Nihal della terra del vento”, con Mondadori seguito da altri due libri, due trilogie e una pentalogia tutt’ora in cantiere che in pochi anni le fecero vendere più di un milione di copie solo in Italia;
– Egle Rizzo, classe ’81, scrittrice diciassettenne di “Ethlinn, La dea nascosta” (Dario Flaccovio);
– Luca Centi, classe ’85, giovane autore di “Il silenzio di Lenth” (Piemme);
– Maurizio Temporin, classe ’88, che a 15 anni ha scritto e pubblicato “Il tango delle cattedrali” (Rizzoli);
– Gianandrea Siccardi e Alice Montanaro, classe ’88, coautori di “La profezia di Arsalon” (Newton&Compton);
– Matteo Mazzuca, classe ’89, autore de “L’ultimo pirata” pubblicato da Mondadori;
– Chiara Strazzulla, classe ’90, che esordisce con “Gli eroi del crepuscolo”, primo fantasy pubblicato da Einaudi;
– Alessia Fiorentino, classe ’90, autrice di “Sitael – La seconda vita” (Dario Flaccovio), scritto a soli 14 anni;
– Thomas Mazzantini, classe ’90, autore di “Garmir l’Eclissiomante” (Baldini Castoldi Dalai);
– Federico Ghirardi, classe ’91, che a 17 anni ha pubblicato “Bryan di Boscoquieto nella terra dei mezzi demoni” (Newton&Compton);
– Mario de Martino, classe ’93, autore di “L’erede, la spada del re” (Runde Taarn), pubblicato a 16 anni;
– Elisa Rosso, classe ’93, che a soli 15 anni esordisce con “Il libro del destino” (Piemme), scritto a 12 anni.
Per non dilungarmi troppo, ho elencato solo gli autori più conosciuti, ma la lista si allunga se aggiungiamo anche nomi meno noti come Marta Dionisio (’92), Pietro Belfiore (’86), Marta Marat (’92), Ester Manzini (’85), Francesco Ruccella (’91) e tantissimi altri.
Ma ora veniamo al punto: cosa caratterizza tutti questi giovanissimi scrittori? Per quale motivo hanno deciso di pubblicare così presto? Soprattutto, i loro libri sono davvero così validi da elogiare i loro autori come enfant prodige?
Partiamo subito dall’ultima domanda: la risposta è no, nel 99% dei casi non è affatto vero che un libro è valido solo perché pubblicato da un autore giovanissimo, né tantomeno che lo scrittore in questione è in automatico una sorta di baby genietto. Perché scrivo questo? Perché nel tempo ho letto almeno un romanzo di tutti i giovani autori che ho elencato (escludendo quello della Rizzo e “La profezia di Arsalon”, che comunque sono nella lista dei libri da leggere quam primum), e tranne rarissime eccezioni ne sono rimasta profondamente delusa.
Il difetto più comune che ho riscontrato è la banalità della trama: tutti o quasi tutti, a partire da Christopher Paolini, si ispirano fortemente al Signore degli Anelli, introducendo pochissimi o addirittura nessun elemento nuovo. Perlopiù si tratta di trame già viste, mal costruite e con intrecci davvero gestiti male.
In secondo luogo troviamo quasi sempre personaggi costruiti veramente in modo scialbo: tutti piatti, tutti privi di personalità, tutti con la stessa voce. Più che personaggi sembrano in gran parte burattini piazzati per caso in mezzo alla storia e manovrati a piacimento dall’autore, e non parti attive della storia, come invece dovrebbe essere.
In tertiis, visto che la quasi totalità dei baby scrittori esordisce con un fantasy, un’altra mancanza tipica è la progettazione dell’ambientazione: basta una delle solite, patetiche cartine geografiche formato diciottoperventicinque infilata nei risvolti del libro e si è a posto. Peccato che una mappa non sia affatto sufficiente a descrivere una buona ambientazione: se è ben fatta, certamente aiuta a orientarsi, specie se il mondo è complesso come la Terra di Mezzo, ma piuttosto che trovare uno schizzo fatto alla “tanto per” sarebbe meglio evitare. Cosa che non viene fatta quasi mai.
- … e l’infelice mondo di Lenth (notare lo stretto al posto dell’istmo e i fiumi che vanno da mare a mare).
Ci sarebbero ancora innumerevoli difetti da elencare, ma il mio campanello d’allarme anti-grafomania sta già trillando da un pezzo. Basti sapere che si tratta perlopiù dei tipici errori che si riscontrano quasi sempre nei libri degli esordienti, ovvero imperfezioni di stile, infodump, deus ex machina, uso scorretto del punto di vista, e tante schifezze del genere.
Prometto recensioni più dettagliate dei titoli che ho appena citato, ma per il momento questo è quanto: sono libri scadenti, anche se vengono pubblicizzati come capolavori, che sarebbero risultati certamente migliori se i loro autori avessero aspettato almeno qualche anno, invece che lanciarsi subito nella pubblicazione.
E da qui si passa a un altro quesito scottante: perché pubblicare da giovanissimi? Perché non aspettare di maturate, e quindi di migliorare con la scrittura almeno per qualche annetto, che di certo male non fa?
Il problema, secondo me, questa volta non sta nei ragazzi, bensì negli adulti che li circondano. I loro genitori in primis, ma anche quelli che si trovano tra le mani il loro manoscritto, ovvero gli editori, svolgono un ruolo assai importanti.
Insomma, immaginate di essere genitori, e se lo siete già immaginate che vostro figlio o vostra figlia mostri una particolare propensione per la scrittura. Immaginate di vederlo/a sempre più spesso seduto al computer mentre scrive affannosamente qualcosa che nei primi tempi si rifiuta di rivelare, ma che poi a poco a poco viene fuori lo stesso: sta scrivendo un libro. O meglio, un romanzo fantasy.
Dubito che, a questo punto, esistano molte coppie di genitori che non perdano letteralmente la testa, al pensiero di avere un piccolo genio in casa, e di conseguenza la frittata è fatta: da questo momento in poi il giovane scrittore verrà continuamente bombardato di domande del tipo “A che punto sei?” o “Quante pagine di mancano?”, e nel momento stesso in cui, dopo mesi di fatiche, avrà scritto la parola “fine”, i genitori avranno già da tempo preso contatti con tutti i grandi editori che conoscono, in modo che il loro bambino possa vedere immediatamente pubblicato il suo piccolo capolavoro.
L’editore contattato, da parte sua, non vede neanche lui il momento in cui potrà mettere le mani su una tale miniera d’oro, dato che i baby scrittori sono notoriamente più redditizi dei comuni mortali. Quando davvero avrà la possibilità di leggere il fantomatico manoscritto, nel migliore di casi avrà un colpo apoplettico vedendo con quante e quali mostruosità linguistiche il giovane scrittore ha riempito il suo capolavoro, di sicuro a causa dell’inesperienza e non per sua volontà (almeno spero!)… ma visto che ai poveri baby scrittori non si possono dire certe cose poco carine, che rischiano di compromettere il loro fragile ego già fatto accuratamente lievitare dai genitori, l’editore si scorticherà in elogi su elogi, lodando il suo aborto (perché spesso non può non essere tale) come se si trattasse del libro più bello che abbia mai avuto l’onore di leggere.
Detto fatto. Il libro in questione verrà pubblicato con una tiratura di 20’000 copie – magari con una minima passata di editing, visto che l’editore preferirebbe spararsi piuttosto che pubblicare un obbrobrio del genere – e decorato con una lucida fascetta che recita: “Il caso editoriale del secolo: un enfant prodige di soli [inserire qui un numero N compreso tra 12 e 18] anni!”. E subito dopo una marea di pubblicità, seguita dalle recensioni entusiaste di tutti i finticritici in circolazione e dai commenti di migliaia di sostenitori del nuovo giovane prodigio, tutti elettrizzati dal fatto che “Questo ha solo N anni ed è riuscito a pubblikare! Deve essere senz’altro braviximo!!!”, completamente ignari di cosa sia successo davvero.
- I tipici commenti delle fan di un libro (clicca per ingrandire).
E cosa accade al baby scrittore? Be’, è ovvio che lui è il più felice di tutti, dal momento che, nella sua beata innocenza, è ancora convinto che l’editore l’abbia pubblicato perché è veramente un enfant prodige, e non certo per una sorta di perbenismo nei suoi confronti: in fondo, è solo un baby scrittore; se dovesse scoprire la verità (e prima o poi la scoprirà, credetemi) cadrà in crisi di esistenza e andrà a piagnucolare da mammà, lamentandosi che il mondo è cattivo con lui, che è così giovane e talentuoso, e non lo capisce. Sapere che, in realtà, non sa ancora scrivere sarebbe troppo difficile da accettare per lui!
- Un baby scrittore disperato dopo aver scoperto che il suo libro fa schifo.
Ma la cosa peggiore è che questo che avete appena letto, anche se può sembrare, è un’esagerazione solo fino a un certo punto. Per fortuna non mi è ancora capitata una cosa del genere, essendo il mio ipotetico libro ancora in fase di progettazione, perciò non so se effettivamente succeda sempre così – e spero con tutto il cuore di no! Immagino, però, che fenomeni del tutto simili a questo accadano piuttosto di frequente, visto lo spaventoso numero di libri pubblicati da baby autori e l’ego smisurato che essi ostentano.
Non ci sarebbe neanche da lamentarsi, infatti, se questi cosiddetti “capolavori” fossero dei bei libri: del resto se un autore scrivesse un buon libro e fosse pure giovane, almeno dal mio punto di vista non ci sarebbe neanche male. Ma il problema è che trovare un libro scritto da uno di questi baby scrittori che sia quantomeno decente (e con questo intendo di livello sufficiente per la pubblicazione) è un fenomeno più unico che raro. Tra i ventitré scrittori che ho elencato, di libri a un livello minimo ne ho trovati due: alcuni di Mario de Martino (“L’erede, la spada del re” e “I figli di Atlantide”, che sto leggendo adesso) e “Gli occhi di un re” di Catherine Banner (che comunque è passato attraverso la traduzione e quindi attraverso un’ulteriore scrematura). Ho trovato soltanto questi due con una trama interessante, personaggi ben fatti, uno stile accettabile e, in generale, la sensazione che siano stati scritti da una persona con una certa maturità.
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- Le copertine de “I Figli di Atlantide” e di “Gli occhi di un re”.
Solo questi due: in tutti gli altri, partendo da libri bruttini ma tutto sommato quasi decenti (come “Il mago dei sogni” della Webb) fino ad arrivare a veri disastri (come “Il libro del destino” di Elisa Rosso), sono riuscita sempre a trovare qualcosa che mi facesse rimpiangere i soldi spesi e, soprattutto, che mi facesse pensare: “Ma perché cavolo non ha aspettato un po’, invece che pubblicare ‘sta schifezza?”.
Prevedo già all’orizzonte che le critiche alla sottoscritta e a questo articolo inizieranno a piovere a catinelle: “Ma come?”, direte. “Anche ‘sta qua è una baby scrittrice e si permette di giudicare così i libri altrui?”.
Be’, ragazzi, spero abbiate chiaro che per giudicare un libro non si debba per forza essere scrittori: basta essere dei buoni lettori – cosa che spero di essere con oltre 500 libri alle spalle. Se stessi etichettando tutti i miei “colleghi” come degli idioti incapaci che dovrebbero fare gli spazzini piuttosto che gli scrittori, avreste ragione. Io mi sono semplicemente limitata a leggere i loro libri, più che altro per cercare un confronto con scrittori più o meno della mia età, e ho dovuto constatare che i più di essi non sono affatto quei prodigi che molti dicono. Non ho la presunzione di definirmi più brava di loro a scrivere, per carità, ma credo sia un diritto di tutti leggere un libro e trovarlo perlomeno piacevole, specie se tutti lo giudicano bello o bellissimo… cosa che, in questo caso, non succede quasi mai.
Un’altra obiezione che prevedo è la seguente: “Ma questa è autolesionista! Critica gli adolescenti che scrivono e poi si scopre che lei stessa è un’adolescente e ama scrivere…”
Anche qui, mi spiace deludervi: con questo articolo mi sto riferendo non ai giovani che amano scrivere (in tal caso sarei davvero masochista), ma ai giovani che amano scrivere e che, per volontà o per ingenuità, se ne fregano del fatto che per scrivere bene occorrano maturità ed esperienza e arrivano a pubblicare da giovanissimi, quando ancora sono inevitabilmente inesperti, e magari pretendono di essere chissà chi solo perché loro hanno pubblicato e io no!
Personalmente, ritengo che il fatto che ci siano molti giovani amanti della scrittura sia una cosa bellissima: se non altro, è pur sempre meglio che un adolescente scriva, piuttosto che se ne stia in strada a fumare o vada tutti i sabati in discoteca a drogarsi e ubriacarsi per poi finire spiaccicato contro un albero per colpa di uno sballo tra amici. Ma nel momento in cui un adolescente decide di pubblicare ciò che ha scritto, egli non è più un normale adolescente appassionato di scrittura: adesso è diventato un autore pubblicato, e come tale deve essere fornitore di libri leggibili, se possibile anche gradevoli, e pubblicando da giovanissimi è inevitabile che questo non accada.
Insomma, io sono un baby genio, non dovete mica pretendere che ciò che scrivo sia perfetto, no? In fondo, l’ho scritto a soli N anni!
Per questa volta ho finito, gente. Nei prossimi articoli approfondirò ulteriormente il tema “baby scrittori” e scriverò le recensioni promesse. Come sempre, critiche e suggerimenti sono bene accetti.